Vette e Baite

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Le Foreste e Noi

Quando accompagno le persone nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi mi ritrovo spesso a proporre loro uno spunto di riflessione: guardate questo bosco e provate ad immaginare di essere in mezzo ad una comunità di esseri viventi, provate ad immaginare ogni singolo albero e pianta come se fosse un animale.
Sembrerebbe un gioco per bambini, eppure questo semplice esercizio, coadiuvato da un piccolo sforzo di sensibilità emotiva, ci pone nella condizione di allontanarci per un istante dalla nostra visione antropocentrica.

Già, caschiamo sempre lì, ma perché?

Uno dei motivi è che le piante ai nostri occhi non si muovono, o meglio, si muovono molto lentamente. Questione di tempo dunque, e se consideriamo il tempo come longevità, le piante ci battono 10 a 1. Al momento l’albero più antico scoperto fino ad ora è una quercia di 13.000 anni, che ha saputo dilatare la propria esistenza generando tantissimi cloni intorno a sé, sotto forma di cespugli. Secondo in classifica, esemplare singolo senza cloni, è un abete rosso di 8000 anni. Questo essere vivente esisteva già prima dell’età del Bronzo, ed ha accompagnato la storia dell’uomo fino ad oggi: c’era quando sono state erette le prime piramidi, c’era quando è sorto l’Impero Romano, è sopravvissuto alla rivoluzione industriale, alla prima e alla seconda guerra mondiale, e continua tutt’ora ad essere testimone silenzioso della nostra evoluzione.

Si stima che le prime piante a colonizzare la Terra abbiano avuto origine circa 500 milioni di anni fa, mentre la prima specie di uomo con una capacità cranica simile a quella degli esseri umani moderni, risale solamente a 600.000 anni fa. Da questi pochi dati possiamo già nutrire qualche dubbio sulla nostra indiscutibile superiorità come esseri viventi.

Anche perché, a differenza di piante ed animali, siamo l’unico essere vivente la cui crescita evolutiva ne compromette la stessa sopravvivenza. Siamo noi che sabotiamo le nostre fonti di ossigeno, bruciando superfici di bosco corrispondenti ad interi Paesi solo per rispondere a bisogni di breve/medio termine. Quelle foreste un giorno sicuramente ricresceranno, non nello stesso luogo e magari in una forma diversa, ma forse noi nel frattempo ci saremo già estinti.

La nostra idea di velocità che si traduce in capacità di azione e quindi di sviluppo non è esattamente quella vincente a lungo termine, le piante questo ce lo insegnano: esistono da milioni di anni prima di noi, e sopravviveranno alla nostra specie. Siamo noi che non possiamo esistere senza di loro.

Torniamo al problema della visione antropocentrica. L’uomo sperimenta la realtà intorno a sé attraverso i sensi e l’intelletto. Vista, gusto, udito, olfatto e tatto hanno degli organi competenti e i messaggi vengono elaborati dall’unità centrale che è il cervello. E le piante? Incredibile a dirsi, ma vedono, sentono, annusano e percepiscono la realtà anche loro, ma senza degli specifici organi competenti, e senza un cervello supervisore. Tra l’altro se ci pensate bene, questo è un grande vantaggio soprattutto se vi trovate ad essere predati da erbivori che rosicchiano beatamente le vostre foglie e i vostri rami. La stessa cosa non si potrebbe dire dell’uomo, in cui la perdita di un singolo organo o arto può compromettere drasticamente la sua vita.

Quindi, noi percepiamo le piante, e loro percepiscono noi, come tutto il mondo circostante. Ancorate a terra, e quindi apparentemente limitate nel movimento, si sono evolute adottando una serie di stratagemmi per sopravvivere alle avversità: dalle tecniche di dispersione dei semi, alla collaborazione con i funghi per la comunicazione con altre piante, alla produzione di sostanze psicoattive per crearsi alleati animali (uomo incluso) e costruire proficui rapporti di simbiosi. Tutte queste caratteristiche, questi comportamenti, ci parlano di un tipo di intelligenza diversa dalla nostra, ma pur sempre intelligenza.

Altro dato che dovrebbe aiutarci a ridimensionare il nostro ego è che nel totale della biomassa presente sulla Terra, l’uomo rappresenta solo lo 0,01%. Le piante occupano l’82%, i batteri il 13%, gli animali (insetti, funghi, pesci e altre specie) il 5%. Provate ad immaginare l’enormità di questo 82%, e adesso attribuitegli tutta la complessità presente in organismi perfettamente evoluti, senzienti e intelligenti come sono le piante. Non c’è quindi da stupirsi se ogni anno vengono scoperte nuove specie di piante, e chissà quante ancora si celano alla nostra conoscenza.

Considerare il fatto che su questo pianeta non ci siamo solo noi e che la nostra vita dipende dal buon equilibrio con tutti gli esseri viventi, dovrebbe indurci ad un approccio più umile, sensibile e quindi responsabile. Su questa onda di pensiero si inseriscono tutte quelle attività e pratiche che vedono nella foresta una fonte di benessere psicofisico. Rispetto alla nostra storia evolutiva, abbiamo trascorso molti più anni a vivere all’aria aperta piuttosto che circondanti da cattedrali di cemento. Non ci si può certo meravigliare se quindi traiamo beneficio nel vivere a contatto con la natura: fa parte del nostro bagaglio evolutivo. Eppure solo negli ultimi anni la scienza ha iniziato a fornire dati e studi a sostegno di questa teoria. Meglio tardi che mai! Quindi ben vengano le passeggiate in mezzo al bosco, perché oltre a respirare aria sana, inaliamo i terpeni che hanno proprietà antinfiammatorie, antivirali, antidolorifiche e sedative. Quindi le piante, oltre a garantire la nostra esistenza su questo pianeta, ci consentono di trascorrere una buona esistenza, in termini di salute fisica e mentale.

Detto questo, oggi che è la giornata internazionale delle foreste, avete più di un valido motivo per accorgervi delle piante intorno a voi e della loro importanza. Dall’acero nell’aiuola spartitraffico, al primo bosco che avete dietro casa… guardateli come se fossero importanti, come se potessero sentire, come se la vostra vita dipendesse da loro.

Buona giornata internazionale delle foreste!